L’inchiesta sul metrò arriva in Procura

01 Ott 2010

di Ilaria Garaffoni

ROMA – C’è un fascicolo che scotta e non poco alla procura della Repubblica di Roma. Porta il numero 3904 dell’anno 2010 ed è affidato a uno dei pubblici ministeri più abituati ad inchieste rilevanti: Francesco Minisci, il magistrato che ha riaperto l’inchiesta sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Il fascicolo è stato aperto dopo la presentazione di un esposto da parte di Adalberto Bertucci, amministratore delegato dell’Atac, l’azienda dei trasporti di Roma. In sé si tratta di una vicenda di mala gestione quotidiana: l’azienda ha affidato da poco il servizio di vigilanza nelle stazioni della metropolitana a un’associazione temporanea di imprese capeggiata da Italpol e di cui fanno parte anche Nuova città di Roma, Sicurglobal e Security service.

Grazie ad una clamorosa gaffe da parte di uno dei dirigenti dell’Ati, l’azienda di trasporti pubblica ha scoperto da una parte che il servizio non era assicurato secondo i termini stabiliti dall’appalto, e che i vincitori raccontavano dei manager pubblici cose – ritenute di pura fantasia – da cui si sarebbero dovuti difendere in procura. Sono episodi spiacevoli, e non è certo per questo che scotta quel fascicolo. A creare imbarazzo è infatti proprio la natura dell’associazione temporanea di imprese. Quell’Italpol che la capeggia è guidata dalla famiglia Gravina, e il titolare, Domenico, è da anni legato da grande amicizia con Gianfranco Fini. Tanto che nel palazzo l’Italpol viene addirittura soprannominata l’azienda di Fini. Un modo di dire, naturalmente, perché il presidente della Camera non ne è azionista, ma sta a significare lo stretto rapporto esistente. il gruppo Gravina, fra i leader della vigilanza privata in Italia anche con altri marchi noti, è a dire il vero un sostenitore da anni della destra italiana. Vicinissimo al Movimento sociale, già nella prima Repubblica, quando ha potuto ha aiutato con servizi gratuiti o finanziariamente il partito del cuore.

E’ accaduto con Alleanza Nazionale, e lo stretto rapporto con il suo leader è ben noto a chiunque sia stato dirigente in via della Scrofa. Anche per questo che sia finito nel mirino della procura di Roma quell’appalto crea più di una chiacchiera e di un imbarazzo nella capitale. Il raggruppamento di imprese guidato da Italpol ha infatti conquistato lì la più ricca commessa che il settore della vigilanza privata possa offrire in Italia: oltre 100 milioni di euro in un quadriennio. L’offerta che ha conquistato la commissione di assegnazione era perfino superiore alla base d’asta complessiva, e quella vinta da Italpol è stata una delle rarissime gare in Italia conquistate con offerte non al massimo ribasso. Almeno quattro milioni più alta di quanto si pensasse in un primo momento.

Il costo orario del servizio era superiore all’appalto precedente, e quindi deve essere contata assai la qualità dell’offerta. Valutazione difficile, tanto che la scelta del vincitore che doveva avvenire nella primavera del 2009 si è rivelata assai più laboriosa delle previsioni, slittando alla prima parte di quest’anno. Proprio per questo i manager Atac si sono infuriati quando hanno compreso che proprio la qualità del servizio alla prima verifica presentava buchi larghi come nessuno avrebbe mai immaginato. La scoperta è avvenuta in modo assai semplice. Un giorno della scorsa primavera, a poche settimane dall’inizio ufficiale del nuovo servizio di vigilanza, un dirigente del raggruppamento di imprese vincitrici, ha chiesto un colloquio al dirigente della sicurezza di Atac. Durante l’incontro ottenuto il dirigente privato ha spiegato di avere un problema con un maresciallo proprio dipendente che dirigeva il servizio di vigilanza in alcune stazioni della metropolitana. Ha spiegato che avrebbe voluto allontanarlo dal servizio, ma di non poterlo fare perché era un sindacalista e avrebbe avuto grandi guai con gli altri dipendenti e con la legge. Se la richiesta, motivata in qualsiasi modo, fosse venuta da Atac, cioè dall’azienda per cui si stava svolgendo il servizio, la rimozione sarebbe stata più che motivata e il maresciallo sarebbe finito ad altri impegni. Il dirigente Atac ha ascoltato un po’ stupito e ha preso tempo per dare una risposta.

Qualche giorno dopo è riuscito a contattare il maresciallo in questione e ha compreso perché fosse tanto inviso ai vincitori. Nei suoi rapporti di servizio il bravo maresciallo segnalava che dove erano assicurati dieci vigilantes in realtà erano presenti cinque. Richiesto di omettere questo particolare, lui si era rifiutato più volte, finendo così nel mirino dei vincitori. Visto che ormai aveva confidato la sua pena, il maresciallo ha raccontato altro anche sulla organizzazione dell’Ati, sulle indiscrezioni raccolte all’interno dell’azienda a proposito della modalità con cui era stato ottenuto e gestito quel maxi-appalto, sui costi extra sostenuti nell’occasione e sulla necessità di risparmiare per recuperarli. Tutto ora è finito in quel fascicolo della procura di Roma. Dove con passo felpato ci si sta muovendo sull’inchiesta che scotta.

Fonte: Libero Roma del 23 settembre 2010

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