Guardie giurate vs. i pirati della Malesia

21 Ott 2011

di Ilaria Garaffoni

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Da quando la legge ha deciso di abilitare le guardie giurate a contrastare la pirateria marittima, si è scatenato il delirio sui social network e nelle mailbox degli uffici del personale degli Istituti di Vigilanza. Tanti si sono candidati spontaneamente, asserendo di possedere i requisiti per affrontare questo nuovo, attraente business. Ma non è tutto oro quello che luccica nel forziere dei pirati.

Innanzitutto serve un decreto attuativo per dar corso alla legge 2 agosto 2011 n.130, che autorizza l’uso di guardie giurate a bordo delle navi mercantili battenti bandiera italiana e che transitano in acque internazionali dove sussiste rischio pirateria. E poiché (anche a seguito delle cronache somale) pare che ci sia una gran fretta, si è già tenuta una riunione per licenziare il decreto, alla presenza dei Sottosegretari di Stato Alfredo Mantovano per il ministero dell’Interno e Giuseppe Cossiga per il ministero della Difesa, oltre alle alte rappresentanze della Marina Militare e dell’Amministrazione Generale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza presso il Ministero dell’interno, ai delegati del settore degli armatori (Confitarma) e alle rappresentanze datoriali (Federsicurezza e Assiv anche per Cooperazione) e sindacali (Filcams per tutti) della vigilanza privata.

Alla riunione sono però subito emersi alcuni nodi giuridici di non facile risoluzione.
Partiamo dal primo. Le guardie giurate abilitate a salire a bordo delle navi mercantili dovrebbero essere un corpo di superguardie iperselezionate, con una formazione e un addestramento specifici ancora tutti da definire. Potranno essere assunte anche direttamente dall’armatore ex 133 TULPS, ma dovranno comunque seguire le direttive del Comandante della nave. Faranno turni di guardia anche di 24 ore e le paghe saranno certamente altissime (si è sussurrato 1500 dollari al giorno), ma non è il caso di farsi delle illusioni perché i rischi saranno altrettanto alti e il percorso tortuoso.

Pensiamo solo al profilo contrattuale. Considerato che non si riesce nemmeno a rinnovare l’ultravigente CCNL della vigilanza privata, è assai improbabile pensare di inserire una nuova figura con trattamento retributivo, orario, formazione e rischi completamente diversi da quelli ordinari (peraltro l’attuale contratto non prevede istituti quali l’indennità di rischio e di trasferta o le missioni estere).
Non solo: i servizi antipirateria possono essere svolti solo a bordo di navi “armate” e autorizzate alla custodia di armi da guerra (perché di questo si tratta), dal momento che solo l’armatore è autorizzato, in deroga rispetto alle norme ordinarie, alla detenzione di armi automatiche. Armi che, peraltro, le guardie giurate potranno usare solo entro i limiti delle acque internazionali, nelle aree a rischio individuate dal Decreto del Ministro della difesa e sotto le direttive del Comandante.

Insomma, più che a una guardia giurata, questa figura sembra assomigliare ad un contractor.
Ma contractor non può essere, dal momento che in Italia (benché si sia fatto ampio ricorso a contractor stranieri) questa figura non è ammessa e le navi italiane su territorio italiano sono soggette alla legge italiana, su questo non c’è storia.

Gli interrogativi restano quindi aperti.
Chi terrà i corsi per queste superguardie, quanto dovrà durare un addestramento di guerra e su chi graveranno, alla fine della fiera, i costi assicurativi, formativi e di trasporto fino al primo scalo utile, dal momento che solo raramente le guardie verranno imbarcate in Italia?
“Sono da escludere le imprese di vigilanza, che hanno già l’acqua alla gola per mille altri motivi” – risponde Luigi Gabriele, Presidente di Federsicurezza. “Le guardie giurate sono a malapena formate ad un uso passivo dell’arma: chi potrebbe addestrarle ad un uso attivo contro l’obiettivo umano? E a quale prezzo, visto che lo stato contrattuale è quello che è? Forse sarebbe stato utile far confrontare le rappresentanze della vigilanza e degli armatori in una precedente sede tecnica, anziché trovarci a un tavolo istituzionale a rappresentare perplessità diverse ma per molti punti convergenti”.

In conclusione, converrà davvero imbarcarsi – è il caso di dirlo – in un affare del genere?
La mia opinabilissima visione è che per venire a capo di questa faccenda occorrerà un sacco di tempo: nel frattempo potrebbero cadere stati, governi e leggi (magari la stessa legge 130).
In ogni caso è da sfatare il mito del new business per la vigilanza privata, perché, anche ammesso che i compensi possano davvero essere altissimi, saranno comunque a prezzo della vita.
Pure Kabir Bedi guadagnava un sacco di soldi, ma il sangue che correva nelle sue vene, come recitava l’indimenticabile sigla di Sandokan, era sugo di pomodoro: pensiamoci.

 

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