Guardie giurate vs. pirati: sarà business?

28 Lug 2011

di Ilaria Garaffoni

bandiera-pirati

Semaforo verde all’uso di guardie giurate per combattere la pirateria marittima. Il ministero della Difesa può infatti “stipulare con l’armatoria privata italiana convenzioni per la protezione delle navi battenti bandiera italiana”, secondo il decreto legge sul rifinanziamento delle missioni militari all’estero firmato dal Presidente Napolitano ed ora in attesa dei decreti attuativi. Sulle navi potranno quindi essere utilizzati militari, contractor o servizi di vigilanza privata, a richiesta e a spese dell’armatore. Ma le nostre GPG saranno mai pronte a sfidare i pirati? Risponde Cristian Ricci, esperto di maritime security (centro di formazione IMI maritime security).

Pirateria VS Private security: dobbiamo  vincere

La notizia di alcuni giorni fa relativa ad un nuovo sequestro di una nave italiana ad opera di – pare – solo tre pirati nel Golfo di Guinea (che forse rappresenta anche il primo sequestro per riscatto nel West Africa) credo che, per la sua drammaticità, giustifichi concretamente la possibilità di arruolare a bordo del personale militare o civile, per tutelare la sicurezza delle persone e dei beni presenti a bordo, resa legale dal decreto Legge n. 107 del 12 luglio 2011. Personalmente, ho avuto la possibilità di navigare nel Golfo di Aden e di ascoltare sul canale di emergenza radio le comunicazioni di richiesta intervento del personale di bordo di una nave che era stata appena abbordata da 7 pirati, ad un centinaio di miglia dalla mia posizione, i quali avevano sparato contro l’unità con RPG e kalasnikov. Sentendo le voci terrorizzate dell’equipaggio, mi sono chiesto perché si deve permettere che queste persone subiscano tali angosciosi eventi.

Sappiamo che ciò che questi pirati dell’Est Africa vogliono è proprio arrivare all’equipaggio.
Non sono interessati alla nave o al suo carico, anche perché sarebbe veramente difficile da commercializzare: sono interessati al fattore umano, perché è su questo che si può far leva per ottenere un vantaggio economico. Come si può immaginare, viene utilizzata ogni modalità di trattamento che possa enfatizzare la condizione di stress dei prigionieri, al fine di ottenere il maggior riscatto.
Un recente studio “Report of the Special Advisor (Jack Lang) to the Secretary-General on Legal Issues Related to Piracy off the Coast of Somalia”, presentato il 25 gennaio 2011 e relativo al periodo di studio 2008–2010, rivela le dimensioni attuali di questo problema: 1890 sequestri di persona, comprese donne e bambini, con 105 sequestri di navi.

Le statistiche ci permettono di riconoscere che nessuna nave protette da contractors civili o da militari è mai  stata sequestrata e quindi pare del tutto logica la previsione normativa del 12 luglio scorso, con la quale il Governo italiano, attraverso un decreto legge di cui si attendono le norme attuative, ha permesso la presenza a bordo di personale armato militare e/o l’utilizzo di agenti privati armati, alla quale dovrà seguire una formazione specifica che disciplini il loro impiego. Anche se (ad una prima lettura e senza nulla sapere circa i decreti attuativi, attesi per settembre) pare esistere una disparità enorme sugli armamenti utilizzabili.

Con questo testo, però, il nostro paese si allinea a quanto già fatto dal Governo Francese e da quello spagnolo, che hanno approntato specifiche misure per la difesa delle rispettive flotte mercantili e da pesca: in particolare la Francia ha disposto l’imbarco di militari a bordo di ciascuna delle 15 navi tonniere operanti nell’Oceano Indiano, mentre la Spagna (sulla scorta di quanto fatto da Israele, Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda, Germania, Danimarca, Sud Africa, Corea del Sud e Liberia) ha autorizzato l’imbarco di un security team armato, a spese dell’armatore, sulle navi presenti nelle aree di crisi.

Il reato della pirateria in alto mare, cioè in acque fuori della giurisdizione dei singoli stati, è definito internazionalmente dalla convenzione di Montego Bay del 1982, che, all’art. 101, lo descrive come:

a) ogni atto illecito di violenza o di sequestro, od ogni atto di rapina, commesso a fini privati dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave o di un aeromobile privati, e rivolti: i) nell’alto mare, contro un’altra nave o aeromobile o contro persone o beni da essi trasportati; ii) contro una nave o un aeromobile, oppure contro persone e beni, in un luogo che si trovi fuori della giurisdizione di qualunque Stato;

b) ogni atto di partecipazione volontaria alle attività di una nave o di un aeromobile, commesso nella consapevolezza di fatti tali da rendere i suddetti mezzi nave o aeromobile pirata;

c) ogni azione che sia di incitamento o di facilitazione intenzionale a commettere gli atti descritti alle lettere a) o b).

La pirateria si configura pertanto come un crimine che turba l’utilizzo di una res comune omnium, quale il mare, il ché giustifica l’eccezione al principio della competenza esclusiva dello stato di iscrizione nelle acque internazionali sulle navi che battono la sua bandiera, consentendo l’universalità della giurisdizione penale, per mezzo della quale ogni stato che ha catturato il pirata può sottoporlo a giudizio, qualunque sia la sua cittadinanza o nazionalità.

Vista la situazione concreta che si vive nelle cosiddette Piracy High Risk Area, è certo che sia necessario rendere liberamente fruibile un bene universale come il mare e garantire la libertà personale e dei commerci, pertanto è da considerarsi un atto non solo logico, ma anche legittimo quello intrapreso dal nostro Governo, al fine di evitare l’odissea, per esempio degli equipaggi delle navi italiane Savina Caylyn e Rosalia D’Amato con 44 marinai a bordo, 11 dei quali italiani, ancora oggi prigionieri dei pirati somali.

Nutro, però, una perplessità sul fatto di imbarcare personale militare a bordo di queste navi civili, perché non credo che sia compito dei militari difendere beni privati, seppur su territorio nazionale come sono le navi, ma semmai il loro compito, inquadrato in una missione internazione, dovrebbe continuare ad essere quello di difendere l’uso del mare – bene universale – con altri marine militari. Un compito simile a quello che quotidianamente svolge la nostra marina a difesa del bene pubblico destinato alla navigazione, come è il mare territoriale.
La difesa del bene privato “nave mercantile”, mi pare che rientri – non contemplando attività che richiedono la potestà pubblica (nel senso che non sono un mezzo con il quale si dovrebbero esercitare funzioni di polizia, seppur legittime) – unicamente nel diritto a difendere la proprietà privata e ad autodifendersi. Diritto che non può arrogarsi solo lo Stato e che credo si configuri come il primo gradino di quella che viene definita sicurezza sussidiaria.
Credo che questa discrepanza possa superarsi in un modo pratico se (seppur con prevedibili maggiori difficoltà) la security privata capirà la necessità di migliorare la propria formazione  – e questo sarà anche compito di centri specializzati, che dovranno essere in grado di presentare corsi realmente qualificanti. Certo non sarà un lavoro per tutti, ma chi sarà in grado di farlo avrà la certezza di svolgere un servizio di altissima utilità sociale.

Cristian Ricci

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