Corsi per ex-buttafuori: solo un proforma?

30 Ago 2011

di Redazione

ex-buttafuori-vigilanza-privata

Addetto servizi di controllo, oggi.
Buttafuori, fino a pochi mesi fa.
Questa è, a prima vista, la principale differenza portata dal Decreto Maroni del 06 ottobre 2009.
In realtà ovviamente le differenze sostanziali sono ben altre, come vedremo. Ma leggendo con attenzione il testo, si ha come l’impressione che il Legislatore sia intervenuto nei confronti dell’apparato legislativo stesso, piuttosto che nei confronti delle figure professionali e delle Agenzie.

Clicca qui per scaricare D.M. 6 Ottobre 2009

La figura è nuova, certo, perché per la prima volta il “buttafuori” ha una formazione specifica, definita, amalgamante. Ma questo Decreto, alla realtà dei fatti, cosa ha dato al settore?

Cosa cambia?
Il DM Maroni ha definito le capacità di cui si deve essere in possesso per lavorare, ha equiparato le figure (non ci saranno più lavoratori in nero, personale poco qualificato o non in grado di svolgere tale mestiere, per passate condanne o caratteristiche psico-attitudinali).
In poche parole le ha rese legittime e di rimando legittima a lavorare solo chi in possesso del “corso”.
Lo stesso art. 7 (“Riconoscibilità del personale addetto ai compiti di controllo”) definisce che ogni addetto deve essere in possesso (e in posizione visibile) di un cartellino giallo, con apposta la scritta “Assistenza”. Un modo, palese, di amalgamare le figure, il ruolo e determinarne la presenza durante l’attività lavorativa, da parte di responsabili, forze dell’ordine, pubblico o clientela.

Tempistiche
Le tempistiche sono queste: il Decreto doveva entrare in vigore a fine giugno ma, per alcuni motivi (primo tra i quali la mancata organizzazione a livello regionale), l’applicazione della legge è stata prorogata al 31 dicembre 2011 (chiaramente in termini pratici il termine reale è di almeno un paio di mesi in anticipo, per permettere la fruizione del corso e la conseguente iscrizione degli operatori alla lista prefettizia entro il termine stabilito). Il corso, suddiviso in tre parti specifiche (area giuridica, tecnica e psicologico-sociale) e della durata di 90 ore, è uno dei requisiti fondamentali per poter venire iscritti nell’elenco del Prefetto. Il non superamento dell’esame finale comporta il mancato riconoscimento delle capacità.

Il Decreto definisce i requisiti per l’iscrizione nell’elenco prefettizio, la modalità e tipologia di selezione e formazione, gli ambiti di applicazione e di impiego, demandando al Prefetto il controllo e, se del caso, la cancellazione dalla lista del personale non in possesso dei requisiti. Tale verifica avviene ogni 24 mesi e “A tal fine i soggetti di cui all’art. 1, comma 3, almeno un mese prima della revisione biennale, depositano, presso il Prefetto, la documentazione comprovante l’attualità dei requisiti. Il mancato deposito della documentazione suddetta nel termine sopra indicato comporta la cancellazione dell’iscrizione del personale interessato dall’elenco provinciale e il divieto di svolgimento dei compiti di cui al presente decreto.”

Il rovescio del diritto
La realtà però è un’altra ed emerge, in maniera sorda, dagli stessi operatori formati.
Il corso non aiuta nell’operatività del servizio. Certifica e definisce, ma non apporta un significativo aiuto. L’operatore è legittimato al lavoro ma la formazione ricevuta non dà un valore aggiunto palpabile durante l’esercizio del controllo. Molto spesso i docenti dei corsi regionali accreditati non appartengono al mondo della sicurezza, non hanno svolto mai nessun servizio e il loro apporto formativo si ferma a quanto definito dal Decreto. Ci vorrebbe una formazione aggiuntiva, traslando i dettami teorici in operatività (quindi una parte teorico-pratica), per modificare i modus operandi presenti, rafforzare la parte teorica e creare schemi applicativi univoci per Regione.

Ci si rende conto di come il Decreto rappresenti più un proforma che un vero e proprio aiuto al settore.
Certo fa sì che soggetti condannati, avvezzi alla violenza e/o extracomunitari non in regola non possano più lavorare, ridefinendo l’offerta. Ma tutto questo non aiuta in altri sensi: permette allo Stato di controllare meglio il settore, ma non agli operatori di migliorare il settore.
Operatori (e Responsabili di agenzie soprattutto) che, invece, chiedono qualcosa di più tangibile:

1) un riconoscimento pubblico, unito ad un vero contratto nazionale di lavoro studiato “ad hoc” che darebbe, di rimando, maggiori diritti e doveri (*);
2) una tangibile definizione del numero di operatori per servizio, calcolato in base alla capienza del locale e della tipologia di spettacolo pubblico;
3) la definizione di un prezzario valido per tutti.

Questi sono i reali problemi. La “lotta” al prezzo più basso e l’impiego di meno personale possibile da parte del committente governano in maniera preponderante il settore, con evidenti e nocivi riflessi sulla qualità del servizio generale. Questo era quello che si auspicava, quello che realmente avrebbe definito non solo il settore ma anche il business collegato.
Cosa deve fare quindi un operatore oggi? Semplicemente iscriversi ad un corso di formazione (il cui prezzo oscilla da un minimo di 250 € ad un massimo di 700 € – a carico, generalmente, del corsista, salvo accordi diversi con agenzie), frequentarlo con un massimo di assenze pari al 10% e superare con successo il test finale. Anche perché operare senza iscrizione all’albo comporta multe salate e un danno, a livello di immagine, enorme, per agenzia e pubblico esercizio.

I controlli sono serrati ma, nonostante tutto, non tutte le agenzie di sicurezza si sono mosse con celerità, anche a causa del mancato o ritardato recepimento da parte delle Regioni del Decreto Ministeriale.
Negli ultimi mesi sono molte le leggi che stanno modificando il panorama della sicurezza pubblica e privata, ma non sempre si può parlare di un lavoro orchestrale. Anzi molto spesso alcuni piccoli cavilli vanno a collidere, creando rallentamenti e un po’ di confusione.
Vedremo in futuro se le richieste del settore verranno ascoltate. Arrivando da “dentro” sarebbero sicuramente al passo con la realtà lavorativa, capaci, se trasposte in qualcosa di tangibile, di dare un’impronta più forte e decisa.

Non sono di parte, anzi ritengo che sia doveroso riconoscere che a volte alcuni soggetti, seppur in regola, siano eccessivamente montati dal ruolo e dalle intrenseche responsabilità, rappresentando un “potenziale pericolo” per l’immagine della sicurezza privata. Ma la stragrande maggioranza degli operatori ha sempre avvertito queste responsabilità con etica e deontologia, usando la fermezza solo quando necessario e non trasformandola in uno status quo. Proprio per questi motivi, accogliere le richieste sopraccitate rappresenterebbe un modo per premiare e responsabilizzare il settore tutto. Sarebbero le stesse agenzie e gli stessi operatori a far rispettare le regole e ad allontanare dal mercato agenzie e operatori meno zelanti. Insomma i primi passi sono questi. Chissà che entro breve non si smetta di gattonare per iniziare a compiere veri e propri progressi. I maratoneti ci sono. La volontà anche. La preparazione é disponibile e in continua crescita. La pista…vedremo.

(*) Ne esiste uno, ma abbraccia anche i c.d. portierati, gli steward e gli investigatori privati.

Luca Tomaiuolo

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