Non di solo network son fatte le magagne del settore

04 Set 2010

di Ilaria Garaffoni

vendesi-magagne

Fioccano le proteste contro la proposta di legge dell’On. Isabella Bertolini, che circoscrive alla pura intermediazione l’ambito di operatività delle agenzie ex art. 115 del TULPS. Le maggiori lamentele giungono ovviamente dalle stesse agenzie che svolgono attività di intermediazione nel settore sicurezza privata. Sentiamo Maurizio Capolongo, Amministratore Unico ISTV SpA.

La vigilanza privata sta spingendo una proposta di legge per circoscrivere alla pura intermediazione l’ambito di operatività delle agenzie ex art. 115 TULPS. Cosa ne pensa?
I problemi della vigilanza privata non si possono risolvere con un mero ridimensionamento degli operatori ex art. 115, semplicemente perché il fenomeno della non redditività è strutturale. Nella misura in cui si è assistito in questi ultimi anni – supinamente – all’accorpamento del mercato primario, cosa hanno fatto gli operatori di vigilanza? Si sono ancor più frazionati continuando a coltivare la politica dell’accaparramento a tutti i costi, praticando tariffe sempre più al ribasso pur di vantare un’egemonia territoriale che poi alla fine non ha pagato (basta vedere i bilanci delle imprese). Basti pensare che nel 1996 le banche pagavano il caricamento di un bancomat 170 mila lire, mentre oggi il prezzo oscilla fra i 35 e i 50 euro. Il punto è che sono state rilasciate troppe licenze ex 134 e per di più non sempre in maniera razionale. Ora il mercato è crollato, sia per la riduzione del mercato potenziale (gli accorpamenti delle banche hanno notevolmente ridotto la richiesta dei servizi), sia per una sensibile riduzione del denaro dovuto anche all’aumentato ricorso alle transazioni elettroniche (il deficit principale si riversa su trasporto valori e contazione).
Invece di sopprimere o ridimensionare le agenzie ex 115, perché non si pensa a come e dove incidere territorialmente, suddividendo le varie aree territoriali in funzione dell’offerta presente? Ci sono aree dove il monopolio è regnante e aree dove l’affollamento degli Istituti di vigilanza toglie ogni possibilità di dinamica reddituale. Perché non sedersi a un tavolo, studiare la mappa del territorio e quindi procedere ad una più consona distribuzione dei servizi?

Ipotizziamo che l’attuale proposta Bertolini diventi legge dello stato. Si risolverebbe il problema del sottocosto nei servizi di vigilanza privata?
Ma davvero gli operatori pensano di ottimizzare le risorse esistenti e diminuire le perdite con la proposta di legge Bertolini? E’ pura utopia. I costi assicurativi, quelli di trazione, il costo del lavoro, la ripresa altalenante di una criminalità che grava sulle franchigie assicurative: sono tutti fenomeni con un’escalation di gran lunga superiore alla capacità di generare maggior ricchezza. Bisognerebbe piuttosto pensare ad un pacchetto di richieste che diminuisse l’onere dei bilanci, come il riconoscimento di un fondo accantonamento integralmente deducibile per rischio rapine, o ad agevolazioni di percorrenza stradale che aumenterebbero la quantità di servizi da produrre al costo orario. Ma anche una rivisitazione dei parametri per ottenere la licenza 134 che scremasse il mercato premiando davvero gli investimenti in sicurezza. Con la proposta Bertolini si vuole solo alzare un po’ di polvere per nascondere il vero problema che sta alla base di tutto: la legge che regolamenta gli Istituti di vigilanza è obsoleta e va rivista in toto, le guardie giurate sottostanno ad un regio decreto del 1935, il trasporto valori viene associato alla vigilanza quando quest’ultima presenta un costo di centrale operativa e poi il costo uomo, mentre il trasporto valori è un vero processo industriale con costo lavoro, costo carburante, costo automezzo, manutenzione ecc. E che dire del servizio di contazione? Perché dev’essere svolto da figure armate? Perché deve sottostare ad una licenza ex art. 134 se l’obbligo è quello di vigilare i locali dove avviene il servizio?

Quindi i problemi della vigilanza nascerebbero più dall’obsolescenza dell’impianto normativo, che dall’attività dei network. Tra l’altro la storia del settore ha anche visto una massiccia presenza delle ATI. Potrebbero essere un’alternativa valida?
Le Associazioni Temporanee di Impresa altro non sono che accordi fra un numero limitato di società (a proposito: chi decide chi entra?) che si consorziano per rappresentare il cliente nelle varie realtà locali, eleggendo una mandataria che si assume la responsabilità dell’intero contratto nei confronti della committenza. Ma l’onorevole Bertolini ha mai verificato come si comporta un’ATI? Se l’avesse fatto avrebbe scoperto che il più delle volte l’ATI viene conclusa fra società con licenza di 134 e che la mandataria eletta ha un suo costo, che riflette sulle altre società appartenenti all’associazione temporanea. Esemplificando con fatti reali: è stato assegnato un appalto ad un’ATI dove il cliente paga 24 euro per punto servito di trasporto valori. Orbene la mandataria, responsabile della fatturazione nei confronti del cliente, remunera il servizio agli altri appartenenti all’ATI in ragione di un 21/21,50 euro per punto. Quindi, che differenza esiste fra ATI e licenza ex art.115?

Si è anche provato a responsabilizzare i clienti nell’acquisto dei servizi sottocosto, ma la risposta dei buyer bancari è stata: “è nato primo l’uovo della gallina?” Inoltre le banche stanno sempre più sostituendo le guardie con le tecnologie. Secondo lei, una volta scaduti i maggiori appalti in corso, quale sarà lo scenario dei servizi di vigilanza e trasporto valori per il mondo bancario?
Partiamo dall’esperienza di altri settori: per quasi 20 anni nei mercatini si vendevano impunemente capi “tarocchi” di oggetti firmati. La gente non li comprava certo perché li credesse originali, ma perché erano buone imitazioni e costavano poco. La legge, non potendo condannare la vendita di prodotti su un libero mercato, ha dovuto condannare il tentativo di truffa, reato individuabile ogni qual volta il venditore non avesse chiaramente dichiarato di vendere delle imitazioni. Ma quanto tempo ci è voluto per arrivare a questo correttivo? Per gli Istituti di Vigilanza la situazione è analoga: il cliente non è colpevole nella misura in cui chiede un servizio. A fronte di una domanda, esiste un’offerta: è sicuramente a prezzi scandalosi, ma risponde alle esigenze tecnico operative richieste dalla legge in virtù di una licenza rilasciata dalle Autorità competenti. Perché il cliente dovrebbe contestare la capacità ad operare di chi presenta una regolare autorizzazione prefettizia, con copertura assicurativa e una stabile organizzazione? Per anni questo è stato il leit-motiv: solo oggi i clienti chiedono, prima di affidare il contratto, elementi ulteriori che attestino la regolarità fiscale, previdenziale, e quant’altro serva a dimostrare un comportamento corretto delle imprese operative. Forse, allora, bisognerebbe ripensare il mercato nella sua interezza e non, com’è uso nel nostro paese, promuovere dei correttivi che hanno solo il vago sapore di una tutela politica, giusto per far vedere che qualcosa si muove. Il vero problema non è l’avvento di una tecnologia che, se applicata in giuste dosi, misura il progresso di una nazione: il punto è che bisogna rifare le regole di un gioco che è cambiato e che necessita anche di nuovi giocatori. Prima di mettere in discussione l’art. 115 (ma anche lo stesso art. 134), sarebbe bene assegnare le licenze solo a chi, documenti alla mano, risulti distante da politiche e giochi di potere individuali e soprattutto risponda a quei doveri che la Costituzione richiede a qualsiasi cittadino. Infine è bene ricordare che non tutte le realtà sono uguali: ISTV ha sempre rifiutato appalti con tariffe sottocosto, e talvolta è stata battuta dalle stesse imprese che aveva interpellato e che ad un primo appello si erano rifiutate di scendere sottocosto. Allora siamo proprio sicuri che siano solo le agenzie ex art. 115 responsabili del massacro in cui versa il mercato della vigilanza? Concludo parafrasando il grande Luigi Einaudi, che sosteneva che l’economia senza etica è solo diseconomia: prima di fare proposte di legge bisognerebbe pensarci sopra. Tutti.

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