Vigilanza Privata: marketing nuovo, immagine nuova

06 Nov 2024

di Ilaria Garaffoni


Siti vecchi e loghi tutti simili, concept banali, riferimento costante a paura e insicurezza, zero social. Vuoi per un fisiologico ingessamento del settore, di natura storica e giuridica, vuoi per la tipologia di “prodotto” (legato a temi “di polizia”, che mal si prestano a tecniche innovative di branding), chi offre servizi disicurezza privata– Istituti di Vigilanza Privata, ma anche agenzie di investigazione e di security – sconta un notevole ritardo nelle strategie di comunicazione e marketing. Come costruire un concept nuovo? Come recuperare un danno d’immagine, ahimè frequente nel settore? L’abbiamo chiesto ad un boss come Matteo Silvestri, Laurea e master in Marketing e Comunicazione all’Istituto Europeo di Design, Professore di Comunicazione alla IULM di Milano, Art Director, Coordinatore del Percorso Accademico CODE per Full Stack Developer e CAMA per Digital Marketer e Social Media Manager. .

Partiamo dal tema più scottante. Purtroppo la sicurezza privata sale agli onori della cronaca solo dopo scandali o tragedie. Come risollevarsi da un danno d’immagine profondo?

Non esistono strategie standardizzate per garantire una piena branding reputation recovery: si possono però individuare alcune regole di base. In caso di crisi, il primo punto è essere estremamente rapidi nel saldare delle nuove regole con l’utenza. La letteratura identifica quattro stadi: il primo è la fase di trasparenza e ammissione. Si richiedono comunicazioni solide da diramare attraverso un unico portavoce aziendale. Niente confusione o sovrapposizioni, che possono generare fraintendimenti. Senza ingigantire il problema che ha originato la perdita di reputazione, occorre però ammettere le eventuali responsabilità e fornire quante più informazioni. Essenziale è rispondere sempre ai media: diversamente, la stampa potrebbe trovare una sponda per cavillare con argomentazioni fantasiose o rivolgersi a fonti non qualificate o parziali. Infine: mai mentire, mostrarsi arroganti o peggio tacere.
La seconda azione, invero contemporanea alla prima, è l‘analisi delle cause che hanno generato la crisi, quindi il rafforzamento delle aree deboli, il miglioramento della formazione, dell’organigramma e delle procedure interne. La terza fase è poi attivare una comunicazione esterna sensibile, dimostrandosi anche pronti ad appoggiare delle attività di riparo (es. una donazione che tocchi l’area di riferimento involontariamente colpita). Attenzione però agli atti di ipocrisia riparatrice o al pinkwashing: il web non perdona, come dimostra il Pandoro gate.

Quindi basta fare ammenda, senza proporre una nuova immagine aziendale?

La sua domanda anticipa quella che definisco la quarta fase, ossia procedere con una campagna di rebranding aggressiva basata su una comunicazione esterna che enfatizzi tutti gli aspetti positivi della cultura aziendale (ad esempio, nel caso della vigilanza privata, focalizzarsi sul ruolo sociale della sicurezza, sul senso di serenità che si è in grado di infondere all’utenza pubblica e privata, sulla capacità di offrire lavoro anche in aree depresse o a fasce operative fragili, sulla diversity interna, sulle pratiche sostenibili, sulle attività benefiche collegate ecc). Occorre in parallelo proporre una nuova identità visiva, magari con il redesign del logo o con un restyling che conservi però un elemento nostalgico proveniente dallo storico dell’azienda (es. modifica del payoff). Last but not least: occorre monitorare costantemente gli indicatori di gradimento per valutare il ritorno di ciascuna strategia messa in campo.

Siti vecchi e loghi tutti simili, concept banali, riferimento costante a paura e insicurezza, zero social..Che consigli darebbe alle imprese della sicurezza per svecchiare il marketing?

Primo compito del comunicatore è calarsi nei panni dell’azienda: cosa sto vendendo? Qual è il mio target elettivo? E qui sorgono i primi problemi perché il mercato della sicurezza offre servizi non fruibili e non prevede un target verticale diretto. Mi spiego: se produco scarpe per teen ager, il mio target saranno le ragazze tra i 13 e i 18 anni: mi proporrò dunque a quell’utenza con un’offerta ad hoc e sarà poi la clientela a scegliere o me o altri. Se però il bene offerto è un concetto astratto (sicurezza) e potenzialmente utile a tutti, inoltre non direttamente fruibile (non si mangia, non si beve, non si indossa e non produce benefici tangibili nell’immediato, qualificandosi di fatto come una sorta di garanzia o “assicurazione non obbligatoria”), allora mi manca un target verticale. E anche il “cliente perfetto” (il proprietario di una villa isolata, il CEO di un’azienda con assett da proteggere) in quel determinato momento potrebbe essere dormiente per enne ragioni, dunque ogni attività diretta volta alla conversione in acquisto non sarebbe funzionale al business e potrebbe rivelarsi una mera dispersione di energie e denaro.

Quale strategia applicare allora?

Utilizzerei una strategia “Top of mind”, ossia metterei in campo delle campagne promozionali tali per cui il brand che sto promuovendo sia il primo che viene in mente all’utenza nel momento in cui il bisogno di sicurezza passa da potenziale ad effettivo. Si tratta di campagne volte ad innestare il branding nella mente dei potenziali utenti: ovviamente sono strategie del lungo termine, che producono effetti apprezzabili nel tempo. Un esempio? Alzi la mano chi vorrebbe essere il cliente elettivo di un’agenzia di pompe funebri. Nessuno, scommetto 😉 Eppure un brand di cui tutti abbiamo apprezzato la cartellonistica scanzonata e accattivante si è decisamente innescato nelle nostre teste, pronto per emergere come offerta di riferimento nel momento in cui servirà. Più tardi possibile, ovviamente 😉

E i social? La consueta obiezione delle imprese del settore è “il nostro target è B2B”. Come se i decision maker cui si rivolge il comparto non fossero presenti sul web… Risultato: l’unica realtà che usa massivamente il digital marketing sta sbaragliando il mercato.

Dal CEO, ai quadri, ai decision maker: ormai tutti siamo presenti – e influenzabili – sui social network. Scegliere di non avere profili e pagine social a livello aziendale è quindi certamente una strategia fallimentare. Oltre a LinkedIn e Facebook, dove la presenza è più ampia per la natura rispettivamente professionale e “più adulta” del target dei due social, è essenziale essere presenti anche su Instagram e Tiktok per rilasciare con continuità messaggi più brevi e “volatili” con uno storytelling di fruizione immediata e trasversale. Anche laddove non servisse direttamente per acquistare beni o servizi, rammento che il social resta un reputation disclaimer dove l’utenza può verificare l’immagine e la qualità aziendale: si pensi solo al valore dei commenti nelle piattaforme di viaggi. E le stesse campagne Top of Mind devono per forza trovare un riscontro social con una pagina che abbia un numero dignitoso di follower. E sia beninteso: non servono milioni di follower. In un settore così verticale e profilato, tra i 1000 e i 5000 follower è un risultato più che soddisfacente. L’unica regola è: mai comprare i follower. Si tratta quasi sempre di bot comuni a tutti, dunque facilmente individuabili e peraltro non funzionali allo sviluppo del business ma solo a perdere reputazione.
Ciò che conta non è il numero di follower, ma l’engagement, ossia le interazioni con l’utenza, che sono specchio dell’efficacia dei piani di comunicazione.

E che tipo di campagna si potrebbe avviare sui social in questo settore?

Partiamo dai due social che sembrano più lontani al mondo B2B, ossia Instagram e Tiktok. Suggerisco di avviare un piano editoriale che rispecchi lo stesso tone of voice dell’azienda: se il tono è serio e rigoroso, si deve restare su quel tenore narrativo ma si può pensare ad un contenuto “educativo”, che faccia cultura della sicurezza raccontando che tipo di lavoro si svolge (persone, formazione, protocolli, tipologia di servizi, numeri aziendali, news, infografiche, testimonianze dei clienti e degli operatori, ecc) con la chiave narrativa dello storytelling. Si potrebbe ad esempio raccontare una giornata-tipo per chi lavora nella security o suscitare curiosità con video brevi ma anche più circostanziati e che restano nel tempo (su youtube), ad esempio sugli ambiti di applicazione meno noti al grande pubblico. Penso al ruolo della security in un ambito curioso come i concerti o la produzione cinematografica, o ancora gli aeroporti e il trasporto valori, o la travel security dei VIP, ma anche alle sinergie messe in campo con la filiera di fornitori. In sostanza: usate i social per togliere quella “nube di mistero” che avvolge il comparto con messaggi semplici e non troppo verticali che facciano avvicinare la massa al contesto di riferimento.

Facciamo l’esempio più discusso (perché “è per ragazzini che non hanno soldi”): parlo di Tiktok. Social democratico per eccellenza perché permette anche a chi ha pochi follower di andare virale premiando le interazioni. Come funziona?

Tiktok nasconde un’urgenza già nel nome: le lancette segnano il tempo che avete perso non essendovi ancora iscritti. Al contrario di tutte le altre sorgenti, su Tiktok si può andare virali anche senza una base consistente di follower. Come? Con contenuti originali (non intesi come particolarmente creativi, ma come contenuti che solo la vostra azienda può raccontare: per questo è utile svelarne i meccanismi interni). Essenziale poi avere un volto aziendale, ossia un incaricato (magari il social media manager) che si presti ad essere presente nella piattaforma anche per sperimentare i trend e la loro efficacia nel segmento aziendale. La chiave narrativa, come anticipato, deve essere lo storytelling. Seguire i topic, i trend musicali, gli ashtag (pochi, ma pertinenti al post e al segmento competitivo) e anche le challenge (senza ovviamente ridicolizzare l’azienda), oltre ad avere buona qualità video, sono tutti elementi essenziali per andare virale. Occorre poi essere autentici, consistenti e “a tempo” (ossia essere regolari nei post e trovare il timing che garantisca la migliore risposta del pubblico). Infine, l’elemento più importante: generare interazione. Rispondere, rilanciare, collaborare con altri creator del nostro stesso segmento offre un punteggio premiale di rilievo nell’algoritmo di Tiktok.

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Scarica l’intervista di Secsolution Magazine n35 ottobre 2024

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