Vi ricordate la Prassi di Riferimento 54/2019 (il passo precedente alla nascita di una norma volontaria, non cogente), che era stata promossa da AISS (e già questo non garbava alle associazioni maggiormente rappresentative del settore vigilanza privata) e il cui raggio di applicazione era stato poi circoscritto da Accredia alle attività non disciplinate dalla legge, quindi a quelle di sicurezza ausiliaria? Beh siamo al terzo round: le associazioni ne richiedono nuovamente il ritiro. Ma non si poteva invece partire da quella prassi per costruire assieme un modello di regolamentazione di portierato, controllo accessi, gestione flussi e servizi di informazione? Il nostro anonimo Bastian Contrario sul punto è piuttosto netto. Leggiamo quello che dice e anche quello che dicono Accredia e le Associazioni, per capire un po’ meglio.
Come difendere l’orticello…e far crollare la casa
Nell’ultimo intervento, come ben ricorderà il mio unico lettore (unico sì, ma attento), chiudevo con la considerazione che (mi cito) “il settore è chiamato ad uno sforzo (quello si epocale) per proteggere i risultati positivi raggiunti in questi ultimi dieci anni (che non pochi sacrifici sono costati) e per aprire definitivamente una nuova stagione della sicurezza privata…”.
Ecco, quando si dice parole al vento.
Infatti, con una recente nota a firma congiunta, inviata all’universo mondo, le associazioni di categoria della vigilanza privata comparativamente più rappresentative (si dice cosi!) sono tornate su una questione che già non meritava l’attenzione a suo tempo dedicataci, ma meno che mai necessitava di un’ulteriore riproposizione.
La vicenda (la riassumo a beneficio del mio lettore) riguarda la Prassi di Riferimento 54/2019 (prodromo della norma volontaria), in materia di vigilanza, sicurezza ausiliaria, stewarding ed investigazione, promossa da AISS (altra associazione di settore) che è già stata oggetto di un intervento – ad onor del vero sollecitato – di Accredia che, d’intesa con il Ministero dell’interno (che peraltro sulla questione non ha particolari competenze), ha limitato il campo di applicazione della prassi alle sole attività non disciplinate da disposizioni di legge, quindi a quelle che nella prassi vengono definite di “sicurezza ausiliaria”.
Ora, premesso che la Prassi si muove in un ambito esclusivamente volontario (per cui nulla di cogente per nessuno), trovo condivisibile che Accredia abbia limitato la sua applicazione a quegli ambiti che non sono, peraltro dettagliatamente, disciplinati da una specifica normativa. E capisco che l’organismo nazionale di accreditamento sia dovuto intervenire fissando i paletti per procedere alla conseguente certificazione volontaria delle competenze.
Quello che, francamente, non capisco è perché le “associazioni comparativamente ecc.ecc”, primo, non si siano mosse a tempo debito e nelle sedi opportune (commissione UNI) per manifestare il loro dissenso e portare controproposte concrete; secondo e soprattutto, perché non abbiano sfruttato l’occasione, nelle loro evidentemente ritrovata unità, per lavorare insieme a chi ha proposto la Prassi per renderla il necessario – e sottolineo necessario – strumento di regolazione di una parte del mondo della sicurezza assolutamente priva di regole e requisiti che sta usurpando – a volte con la compiacenza dei giudici amministrativi e/o delle pubbliche amministrazioni – funzioni, responsabilità, ambiti della vigilanza privata.
In attesa di auspicabili ma, al momento almeno, piuttosto improbabili interventi normativi di definizione di nuove regole (disciplina dei servizi fiduciari? Qualifica di polizia giudiziaria per le guardie giurate?), la Prassi avrebbe potuto costituire un’utile base di partenza, un valido riferimento anche per le stazioni appaltanti, una diga alla deriva del volontariato, uno strumento per pretendere giuste retribuzioni per questa tipologia di servizi. Che non sono “altro” dalla sicurezza, sono solo una sua diversa declinazione.
Il sistema sicurezza deve essere traversale, dal pubblico al privato, dal sottoposto a licenza alla libera prestazione, ma sempre in un contesto unitario dove ognuno sa fare e fa quello che disposizioni di legge, regolamenti e norme volontarie (perché no) consentono di fare.
E’ finito il tempo della difesa corporativa, della specificità della casta (a ben guardare una guerra tra poveri): ora è il tempo della specializzazione, della competenza, dell’apertura a nuove frontiere (la difesa degli interessi nazionali oltre confine, la tutela alla persona), della riorganizzazione dell’universo sicurezza, aprendo a nuovi soggetti, a nuovi servizi, a nuove possibilità, nel contesto sempre di regole certe.
La pandemia da Covid-19 porterà, secondo illustri scienziati, conseguenze sul piano economico e non solo tali da cambiare la società come la conosciamo. La sfida è non sprecare l’occasione della crisi per accelerare sulla strada di un cambio di paradigma. Anche nel nostro piccolo, quindi, si può, anzi si deve, provare a cambiare rotta, lavorando insieme non per portare avanti sterili polemiche su chi sia legittimato a fare cosa, ma per costruire un sistema della sicurezza privata più moderno, coerente con le mutate esigenze e, perché no, più giusto sul piano sociale ed economico. Altrimenti avremo (forse) difeso il nostro orticello, ma alle spalle la casa sarà crollata!