Scorte private affidate agli investigatori privati?

01 Ott 2014

di Ilaria Garaffoni

filippo-bubbicoBodyguard, guardia del corpo, scorta privata. Si chiama così chi si occupa di proteggere VIP, personaggi dello spettacolo, industriali. Si chiama così ma non si può dire ad alta voce perché il nostro ordinamento non consente ai privati di tutelare la persona fisica, prerogativa che resta appannaggio delle forze dell’ordine. Ma poiché lo Stato non ha le risorse per proteggere tutti, le guardie del corpo private lavorano lo stesso, purché le si chiami col nome di autisti, assistenti o portaborse. Di conseguenza, chi fa il bodyguard lavora ad alto rischio ma senza tutele. E senza tutele sono anche i suoi clienti, dal momento che, sulla carta, comprano semplici servizi di assistenza alla guida. Il tutto mentre le forze dell’ordine, pagate dai contribuenti, sono troppo spesso impegnate a scortare personaggi non sempre esposti a rischi rilevanti. Ma in tempi di spending review, lo Stato sta valutando di aprire ai privati almeno alcune delle prerogative della polizia. “La strada maestra è quella dell’integrazione funzionale, purché ciascuno abbia chiari i propri compiti” – ha dichiarato il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, intervenuto al convegno organizzato il 25 settembre scorso da Consap, Confederazione sindacale autonoma di polizia, e Federpol, Federazione degli istituti di investigazione privata, sul tema dell’integrazione e della collaborazione tra pubblico e privato nel comparto sicurezza.
“Il tema della sicurezza personale va affrontato ed analizzato – ha proseguito Bubbico: potremmo scoprire che attraverso il coinvolgimento di strutture private, accreditate secondo rigidi parametri, si spende assai meno e si offre un servizio più efficiente. Ma soprattutto potremmo restituire molti operatori di polizia alle loro funzioni fondamentali”.
Per la prima volta a memoria di comparto, un’altissima carica del Governo ha quindi detto, in chiaro, che il ministero dell’Interno sta cominciando a studiare delle soluzioni per aprire i servizi di tutela fisica – totem della sicurezza pubblica – anche agli operatori privati. Del resto, affidare agli investigatori privati, in casi particolari e con limiti ben circostanziati, alcune attività di tutela della persona disimpegnerebbe le forze dell’ordine da servizi minori, darebbe maggiori garanzie ai lavoratori e ai committenti e garantirebbe gettito all’erario, facendo emergere un sommerso oggi pienamente operativo – e allegramente promosso on line.

Una necessità condivisa anche dall’On. Maurizio Gasparri: “se occorre proteggere un magistrato o una personalità a rischio, dev’essere ovviamente lo Stato a farsi carico della scorta, ma per soggetti a basso rischio, come artisti o VIP, il privato è una risorsa da prendere in considerazione”.
Gli ha fatto eco il Vice Capo della Polizia Vicario Alessandro Marangoni:”La sicurezza deve sempre rimanere in capo allo Stato, ma laddove sia possibile demandarla ad altre forze, occorre trovare una strada operativa ben definita”. E ben venga la condivisione di informazione con i privati – ha proseguito Marangoni: sulla scorta dell’esperienza sinergica con le vigilanze dei 1000 Occhi sulle Città, ben vengano anche gli occhi discreti degli investigatori privati: “più siamo a guardare, meglio è. Bisogna solo trovare il giusto punto di equilibrio”.

Il 25 Settembre scorso si è quindi dato l’imprimatur formale alla strada, già intrapresa con la riforma del 2008, che identifica l’investigatore privato come operatore di sicurezza sussidiaria: “è allo studio un progetto di revisione di alcune disposizioni del TULPS in una direzione più moderna e aderente al principio di semplificazione dell’azione amministrativa” – ha ricordato Castrese De Rosa, Direttore dell’Ufficio per gli Affari della Polizia Amministrativa e Sociale.
Tra queste, c’è anche l’idea – con i giusti distinguo – di affidare ai privati, purché qualificati, certificati e controllati, la possibilità di tutelare le persone.
Il processo di autocertificazione, appena messo in campo per la vigilanza privata, potrebbe quindi essere esteso anche agli investigatori privati? I due mondi sono però molto diversi, per organizzazione, capacità finanziarie e dimensionamento: riusciranno a sopportare gli oneri certificativi anche i piccoli studi investigativi? “Naturalmente occorrerà disegnare un modello di certificazione della qualità dei servizi pensato appositamente per le investigazioni private.
In UNI è già allo studio una norma volontaria per definire i requisiti di qualità di quel tipo di operatori; da lì alla certificazione il passo non sarebbe poi così lungo” – ha risposto Vincenzo Acunzo, Coordinatore U.O. Vigilanza Privata Dipartimento P.S. concluso Acunzo. Insomma, ogni conquista ha un prezzo: se si vogliono le scorte private, serve anche la certificazione.

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