Vigilanza Privata in perdita: anche la security britannica piange

11 Giu 2013

di Ilaria Garaffoni

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Anche i boss stranieri della vigilanza privata non sembrano cavarsela magnificamente bene.
Secondo l’ultima analisi Plimsoll sulle 1000 aziende top della Security britannica, nel 2012 ben 133 aziende hanno venduto servizi di sicurezza in perdita, perdurando in un trend suicida iniziato già l’anno precedente. Secondo Plimssol, queste aziende stanno trascinando verso il basso i prezzi e le marginalità, falsando la concorrenza: se non rientreranno nei ranghi entro i prossimi 12 mesi potrebbero chiudere.
Non deve sorprendere quindi che, ad un’analisi di rating (suddiviso in forte, buono, medio, allerta e a rischio), ben 254 società risultino sull’orlo del fallimento.

La colpa di questa débacle? Sembra che, con i tempi che corrono, la vigilanza stia diventando antieconomica anche in Gran Bretagna. Dico “anche” perché l’Italia è stata maestra nel lavorare in perdita, come dimostra il Rapporto Federsicurezza 2012, che racconta di un costo del lavoro che mangia quasi tutto il fatturato, di una forte esposizione finanziaria delle imprese e di un’azienda su tre che lavora in perdita.

Soprattutto la vigilanza privata italiana ha fatto scuola nel rispondere alla contrazione della domanda con una folle riduzione dei costi (non di rado punteggiata da illeciti vari ed eventuali, ma questa è un’altra storia).
Il più sacrificato tra i servizi è stato il piantonamento, spesso fornito “al costo” con la prospettiva di sviluppare proposte di contorno, essenzialmente a valore tecnologico, e di marginalizzare con esse. La diffusa politica di utilizzare il più possibile personale non qualificato e di ridurre all’osso gli interventi sul posto del resto funziona, quanto meno finché non succede qualcosa.
Ma quando succede, raramente il cliente comprende le motivazioni finanziarie retrostanti.

L’allungamento illimitato dei pagamenti, accompagnato a una contrazione dei margini di fatto “tollerata” dagli operatori, avrà senz’altro contribuito ad ingenerare anche nei clienti (soprattutto quelli a maggior potere contrattuale) la perversa convinzione per la quale, in fondo, il piantonamento non dev’essere un servizio di particolare valore, quindi perché lo si dovrebbe pagare decentemente? O peggio: perché lo si dovrebbe in assoluto attivare, se basta la tecnologia a proteggere gli assett?
Questo il ragionamento di molte banche italiane e – a giudicare dai dati Plimsoll – anche di molta clientela britannica. Perché è indubbio che sia i fornitori sia gli acquirenti di servizi di sicurezza abbiano parte di responsabilità nell’andamento negativo.

E’ vero che sostenibilità finanziaria e marginalità ridotte raramente vanno a braccetto, ma la domanda vera sta a monte: prima di decidere quale prezzo dare ai nostri servizi, occorrerebbe forse chiedersi quale valore viene attribuito agli stessi dalla nostra clientela. E per fare ciò, la prima domanda va rivolta a noi stessi: quale valore attribuiamo noi fornitori, ai nostri servizi di piantonamento? Come creiamo valore? Come ci distinguiamo nell’offerta generalizzata? Quanto investiamo negli elementi di distinzione che ci caratterizzano? Come diamo qualità e come la trasmettiamo al cliente?

Mentre tutti (anche noi in redazione) ci poniamo queste domande, possiamo scaricare qui una breve sinossi dello studio Plimsoll

Clicca qui per scaricare UK Security market Plimsoll

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